
Siamo fatti per una esistenza che si rigenera continuamente con il dono dell’amore. Prevost parla alla “generazione di Francesco” indicando come testimoni Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, che hanno rafforzato l’amicizia con Dio con la preghiera e la carità
A loro si rivolge in più lingue, come ci ha abituato ad ascoltare, per farsi capire da tutti. Italiano, spagnolo e inglese per dire che la vera speranza viene da Cristo. Un incontro, quello con il Signore risorto, «che cambia la nostra esistenza, che illumina i nostri affetti, desideri, pensieri». Spiega le letture, papa Leone. Che ci dicono del nostro limite e della nostra fragilità, con l’immagine dell’erba che a sera è seccata. «Richiami forti, forse un po’ scioccanti, che però non devono spaventarci, quasi fossero argomenti “tabù”, da evitare», spiega il Pontefice. «La fragilità di cui ci parlano, infatti, è parte della meraviglia che siamo. Pensiamo al simbolo dell’erba: non è bellissimo un prato in fiore? Certo, è delicato, fatto di steli esili, vulnerabili, soggetti a seccarsi, piegarsi, spezzarsi, e però al tempo stesso subito rimpiazzati da altri che spuntano dopo di loro, e di cui generosamente i primi si fanno nutrimento e concime, con il loro consumarsi sul terreno. È così che vive il campo, rinnovandosi continuamente, e anche durante i mesi gelidi dell’inverno, quando tutto sembra tacere, la sua energia freme sotto terra e si prepara ad esplodere, a primavera, in mille colori».
Come l’erba anche noi siamo fatti per questo: «Non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore. E così aspiriamo continuamente a un “di più” che nessuna realtà creata ci può dare; sentiamo una sete grande e bruciante a tal punto, che nessuna bevanda di questo mondo la può estinguere». Il Papa sprona a non ingannare il cuore cercando di spegnere questa sete «con surrogati inefficaci!». Invece, a vent’anni, è bello spalancare il cuore a Dio «permettergli di entrare, per poi avventurarci con Lui verso gli spazi eterni dell’infinito». Cita Sant’Agostino che si chiedeva qual è l’oggetto della nostra speranza. «È la terra? No. Qualcosa che deriva dalla terra, come l’oro, l’argento, l’albero, la messe, l’acqua […]? Queste cose piacciono, sono belle queste cose, sono buone queste cose». Ma poi concludeva che bisogna ricercare chi ha fatto tutte queste cose, «egli è la tua speranza».
In spagnolo ripete le parole di papa Francesco a Lisbona, durante la Gmg del 2023, proprio il 3 agosto, quando ad altri giovani come voi diceva: «Ognuno è chiamato a confrontarsi con grandi domande che non hanno […] una risposta semplicistica o immediata, ma invitano a compiere un viaggio, a superare sé stessi, ad andare oltre […], a un decollo senza il quale non c’è volo. Non allarmiamoci allora se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro […]. Non siamo malati, siamo vivi!».
E proprio per questo c’è una domanda che abita il cuore. Il Papa la pronuncia in inglese: «Cos’è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia, della mediocrità?», chiede ai ragazzi. Ricorda loro le belle esperienze appena fatte: «Vi siete incontrati tra coetanei provenienti da varie parti del mondo, appartenenti a diverse culture. Vi siete scambiati conoscenze, avete condiviso aspettative, avete dialogato con la città attraverso l’arte, la musica, l’informatica, lo sport. Al Circo Massimo, poi, accostandovi al Sacramento della Penitenza, avete ricevuto il perdono di Dio e avete chiesto il suo aiuto per una vita buona».
In tutte queste esperienze si coglie una verità importante: «La pienezza della nostra esistenza non dipende da ciò che accumuliamo né, come abbiamo sentito nel Vangelo, da ciò che possediamo. È legata piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere. Comprare, ammassare, consumare, non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi, di guardare in alto, alle “cose di lassù”, per renderci conto che tutto ha senso, tra le realtà del mondo, solo nella misura in cui serve a unirci a Dio e ai fratelli nella carità, facendo crescere in noi “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità”», di perdono, di pace, come quelli di Cristo». Solo in questo orizzonte si capisce cosa significhi che la speranza non delude.
«Carissimi giovani, la nostra speranza è Gesù», dice Leone ricordando le parole di Giovanni Paolo II. «È Lui “che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande […], per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna”».
Indica come testimoni Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, «che presto saranno proclamati Santi» e che hanno coltivato l’amicizia con il Signore «con la preghiera, l’adorazione, la Comunione eucaristica, la Confessione frequente, la carità generosa». E ancora, conclude, «Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno. Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo».