La questione donna, trattata nel paragrafo 60 del documento, è quella che ha avuto la (relativamente) più bassa cifra di consensi: 258 su 355. I voti negativi sono stati invece 97 (il 27,3%: probabilmente la somma di quanti vi hanno trovato troppe novità e di chi al contrario ne ha riscontrate troppo poche). Lo scorso anno il paragrafo più “contestato” (era quello sul “diaconato femminile”) ebbe 69 “no” su 344 votanti.
Il tema sui poteri delle Conferenze episcopali è stato trattato nel paragrafo 125 del documento finale, che è stato approvato con 310 “sì” e 45 “no” (il 12,7%). In esso si afferma che le Conferenze episcopali «sono uno strumento fondamentale per creare legami, condividere esperienze e buone pratiche tra le Chiese, adattare la vita cristiana e l’espressione della fede alle diverse culture». Di qui la richiesta «di precisare l’ambito della competenza dottrinale e disciplinare delle Conferenze episcopali», senza però «compromettere l’autorità del vescovo nella Chiesa a lui affidata né mettere a rischio l’unità e la cattolicità della Chiesa». Un siffatto esercizio collegiale di tali competenze infatti «può favorire l’insegnamento autentico dell’unica fede in un modo adeguato e inculturato nei diversi contesti, individuando le opportune espressioni liturgiche, catechetiche, disciplinari, pastorali, teologiche e spirituali». In particolare il paragrofo 125 chiede «di specificare il vincolo ecclesiale che le decisioni prese da una Conferenza episcopale generano, rispetto alla propria diocesi, per ciascun vescovo che ha partecipato a quelle stesse decisioni». Riguardo questo tema è utile ricordare che già nel motu proprio Apostolos Suos del 1998 si riconosceva alle Conferenze episcopali un qualche potere di carattere dottrinale, a determinate condizioni (unanimità o maggioranza dei due terzi con “recognitio” vaticana).
Il paragrafo 148 infine è quello che ha è stato approvato con 315 “sì” e 40 “no”. Riguarda la formazione al sacerdozio con la richiesta «di una presenza significativa di figure femminili», e «di una revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis che recepisca le istanze maturate nel Sinodo, traducendole in indicazioni precise per una formazione alla sinodalità».
Il Documento finale è formato da cinque parti. Alla prima – intitolata Il cuore della sinodalità – segue la seconda parte – Insieme, sulla barca di Pietro – «dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione nell’intreccio di vocazioni, carismi e ministeri». La terza parte – Sulla tua Parola – «identifica tre pratiche tra loro intimamente connesse: discernimento ecclesiale, processi decisionali, cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione». La quarta parte – Una pesca abbondante – «delinea il modo in cui è possibile coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa, in un tempo in cui l’esperienza del radicamento in un luogo sta cambiando profondamente». Infine, la quinta parte – Anch ’io mando voi – «permette di guardare al primo passo da compiere: curare la formazione di tutti alla sinodalità missionaria». In conformità alla Costituzione Episcopalis Communio la scelta di papa Francesco di non pubblicare una esortazione post-sinodale ma di approvare espressamente il Documento finale significa – ha spiegato il segretario speciale del Sinodo don Riccardo Battocchio – che questo testo partecipa del Magistero ordinario del Successore di Pietro, non con valore normativo, ma dando delle linee di orientamento. «Non è normativo – ha puntualizzato il teologo rettore dell’Almo Collegio Capranica – non significa che non impegna le Chiese» ma indica «una direzione da prendere tutti insieme» in quella «pluralità che caratterizza fin dalle origini l’essere Chiesa di Cristo».