Nella solennità di Cristo Re dell’Universo il brano evangelico ci pone davanti ad un grandioso affresco, una scena potente, che noi denominiamo come il giudizio finale. Tuttavia, diversamente da come spesso intendiamo, questa scena più che la sentenza ultima, tratteggia e rivela la verità ultima sull’uomo. Mostra, cioè, che cosa resta alla fine della nostra vita terrena quando non resta più niente: resta l’amore al prossimo! Resta la porzione di lacrime, di attese e bisogni degli altri che abbiamo saputo custodire ed accudire con la nostra vita; resta il bene cha abbiamo saputo “fare” (verbo usato nel brano evangelico). Gesù elenca sei situazioni di disagio, di bisogno che sono come sei passi di un percorso dove si capisce perfettamente che la sostanza della vita è l’amore. Sei passi verso la terra come la sogna Dio!

Di questa pagina sorprende e commuove il fatto che i registri contabili tenuti da Dio non sono pieni dei nostri peccati, raccolti e messi da parte per essere tirati fuori contro di noi nell’ultimo giorno. Gli archivi dell’eternità, piuttosto, sono pieni dei gesti di bontà, dei bicchieri d’acqua donati, delle lacrime asciugate, dei soccorsi prestati, della vicinanza e del calore umano che abbiamo mostrato. Ciò significa che argomento del giudizio finale non sarà il male, ma il bene; non sarà l’elenco delle nostre debolezze, ma quello dei nostri gesti di bontà, la parte migliore di noi. “Quel giorno” Dio non indagherà sulle nostre ombre, ma annoterà i semi di bene che abbiamo saputo seminare. Fisserà il suo sguardo sull’amore di cui siamo stati capaci. Perché? Perché verità dell’uomo è il bene. Se qualcosa di noi alla fine rimane, questa cosa è solo l’amore, e il futuro che ci attende nell’al di là è generato dall’amore che sappiamo compiere di qua.

Dall’elenco delle opere che Gesù fa, salta subito agli occhi l’umiltà della materia di questi gesti concreti. Subito si avverte che si tratta del bene semplice, spicciolo ed immediato della vita normale e quotidiana. Dio ha legato la salvezza a questo tipo di bene: a un po’ di pane, ad un bicchiere d’acqua, ad un vestito donato, ai passi di una visita. Dunque, non azioni eccezionali, ma opere semplici, possibili a tutti, dove è chiaro che l’attenzione non è alle cose, ma al cuore mostrato da questi gesti. Amore sì eroico, ma delle cose normali; mostrato con i fatti, che salgono a Dio come una folata di incenso a sua lode e gloria passando per gli ultimi della fila, i suoi prediletti, a dimostrazione che incontrando gli altri, incontriamo Lui, Gesù: “l’avete fatto a me”, “siete venuti a me”, “mi avete visitato”, “mi avete servito”. Pertanto, un autentico rapporto con il Signore passa attraverso un autentico rapporto con le persone. Ogni uomo è sempre un dono di Dio; in ogni persona incontriamo misteriosamente, ma realmente, Lui. E, in ultimo, è a Lui che sono rivolti l’animo ed il cuore quando ci prendiamo cura dell’altro.

Ora vorrei soffermarmi su un’opera di misericordia che è certamente di tutti, ma lo è in modo particolare per la famiglia paolina. E’ un’opera che esprime bene lo spirito del beato Alberione e la missione che le sue figlie e i suoi figli sono chiamati a compiere nella Chiesa annunciando agli uomini del nostro tempo, con i mezzi di comunicazione, il Vangelo di Gesù Maestro, che è Via, Verità e Vita. Così dice don Alberione: «Fate a tutti la carità della verità». Lui stesso paragona questo servizio per la verità e per il Vangelo alla carità verso i più poveri, parafrasando le parole di Pietro allo storpio della porta Bella del Tempio: «Non ho né oro né argento, ma vi dono di quello che ho: Gesù Cristo: Via, Verità, Vita». Cari fratelli e sorelle della famiglia paolina: date all’uomo affamato ed assetato di oggi la Verità eterna a cui anela il suo spirito, anche se lui non lo sa o non lo vuole ammettere. Vestite l’uomo nudo, privo dei principi e dei valori umani ed evangelici, così che si rivesta di Cristo e si innalzi alla pienezza di vita nella sua dignità di figlio di Dio. Fate avvertire a chi si sente straniero, estraneo e lontano da tutto ciò che sa di fede e del mistero divino, il calore dell’accoglienza che scaturisce dal Vangelo e la ricchezza di una vita che sa di essere custodita nelle mani di un Dio che è Padre. Siate capaci di visitare, con i diversi mezzi di comunicazione, le vite malate di tante persone e famiglie, perché smarrite, scoraggiate, vuote, prive di un senso, portando la forza consolante e rigeneratrice della Parola del Vangelo. Sappiate recarvi fin dentro il carcere delle più diverse ideologie e dei più disparati pregiudizi, delle mentalità chiuse o rigide che ingabbiano tante menti e cuori, per portare lì il raggio di luce della Verità evangelica che rende veramente liberi. Fate a tutti questa carità della Verità! Ovunque andate, chiunque incontrate o raggiungete, con chiunque vi collegate o vi connettete… lì fate arrivare il calore avvolgente di Gesù e il chiarore della sua Verità.

Per farlo occorre esserne pieni. Voi conoscete bene l’origine e la spiegazione che don Alberione ha dato di quelle parole che sono riportate accanto ai Tabernacoli delle vostre chiese e cappelle: “Di qui voglio illuminare”. Dice il Beato: “Il «di qui» usciva dal tabernacolo; e con forza; così da comprendere che da Lui-Maestro tutta la luce si ha da ricevere”. Carissimi, l’efficacia di ciò che siete e della missione che avete da compiere parte e si rigenera da qui: da un’intima ed intensa vita spirituale. Il vostro apostolato sarà efficace se innestato qui, in una relazione esistenziale con Gesù. E’, infatti, stando con Lui che si impara a riconoscere che è Lui il Signore, e che le proprie vite, e di tutti quelli ai quali si è mandati, dipendono da Lui, così come il cammino della Chiesa e le sorti della storia. Facendo il pieno di Lui, della sua Verità evangelica si arriva a rifiutare gli idoli della vanagloria personale, dell’affermazione del proprio io ad ogni costo, delle proprie idee, del fascino del primeggiare, della propria bravura pastorale e si mette al centro solo Lui. “Si cerca la vita in Cristo Maestro” afferma don Alberione. Carissimi/e, siate sempre pieni di passione per Gesù, ardenti di desiderio di conoscerlo sempre più intimamente per poterlo far conoscere. Così farete davvero a tutti la carità della Verità.

C’è un’altra espressione di don Alberione che evidenzia un’ulteriore condizione per poter compiere quest’opera di misericordia propria del vostro carisma paolino: “Tutto l’uomo in Gesù Cristo”. Gesù, cioè, che entra in tutta la persona e ne informa tutti gli aspetti: “intelligenza, volontà, cuore, forze fisiche”. Pertanto se Gesù è la Verità, ogni membro della famiglia paolina vivrà in prima persona nella Verità: con se stesso, con i confratelli/consorelle, di fronte agli altri e davanti a Dio. Per primo si metterà in gioco e si sforzerà di “vivere integralmente il Vangelo”; vivere quello che va ad annunciare agli altri. Allora sì che capirà la “gioiosa fatica” dell’essere discepolo di Gesù Maestro, e sebbene non mollerà nell’insegnare la piena Verità del Vangelo, sarà anche capace di comprensione, di umanità, di tolleranza e di pazienza verso gli altri, perché lui per primo prova sulla sua pelle non solo la bellezza, ma anche la fatica del vivere nella Verità. Facendo così diventa credibile, attira e incoraggia gli altri a fare altrettanto, ed adempie l’opera di misericordia: Fare a tutti la carità della Verità!

Essendo così saprà farla con coraggio, franchezza, ma anche e sempre con amore. Mai la Verità senza l’amore, né l’amore deve mai rinunciare alla Verità. Amore e Verità vanno sempre insieme, sono due facce della stessa medaglia e sono lo stile di Gesù. Mai sganciare l’amore dalla Verità, perché altrimenti diventa buonismo che uccide la Verità evangelica (si scade nel relativismo, un arrendersi alle mode del mondo). Dire a uno: “Gesù ti ama come sei” è solo una parte della verità, perché il Signore vuole condurci dietro a Lui e questo richiede conversione. Non bisogna, quindi, avere paura di mostrare che la Verità evangelica è esigente. “Il vangelo spinge l’uomo a trascendersi” (C. Martini). Nello stesso tempo, però, mai solo la Verità senza l’amore, perché si scade nel moralismo dove la rigidità della norma uccide l’uomo. “Fare a tutti la carità della Verità” implica, pertanto, annunciare tutto il Vangelo così come è, identico per tutti, ma dando a ciascuno di avvertire che è “per” lui e non “contro” di lui; è per il suo vero bene; fargli sentire che è affascinante, coinvolgente perché è per la sua autentica felicità! E qui c’è l’ingegnarsi, il cercare ogni via, ogni mezzo per far arrivare a tutti il calore della Verità che è una persona viva: Gesù! Dice don Alberione: “Potessimo dire al termine della vita: nulla ho risparmiato per essi: né tempo, né salute, né ingegno, né comodità; nulla ho risparmiato per le anime, nulla”.

Fratelli e sorelle della famiglia paolina, fate il pieno della Verità che è Gesù; vivete integralmente in prima persona nella Verità del suo Vangelo; e fate a tutti la carità della Verità con lo stile che aveva Lui, con il suo animo pastorale, certi che il beato Alberione da lassù intercede perché sia così per ciascuno di voi, suoi figli e sue figlie.

✠ Marco Mellino