«Ciò di cui il mondo ha bisogno» è un’espressione che ricorre molte volte nel magistero di Benedetto XVI, sia da Papa sia da teologo. Il pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione descrive i punti fermi del pensiero di papa Ratzinger

Monsignor Rino Fisichella è stato uno stretto collaboratore di Benedetto XVI e un profondo conoscitore del suo pensiero. 71 anni, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione, ci racconta il loro rapporto. «È stato un rapporto di collaborazione su quelli che sono i grandi temi della fede, della teologia; quei temi che toccano la vita della Chiesa nei suoi momenti più particolari. L’allora cardinale Ratzinger nel 1993 mi chiamò a essere consultore della Dottrina delle Fede e nel 2002, dopo che gli avevo che avevo già fatto parecchio e potevo ritenermi libero, mi volle come membro della Congregazione e a ogni seduta stavo alla sua sinistra essendo il più giovane».

Come ha reagito alla rinuncia di Benedetto XVI?
«Con perplessità. Perché vivere in prima persona un evento storico così importante e mai accaduto in precedenza nelle modalità come le ha realizzate Benedetto XVI mi lasciava molto perplesso nonostante uno veda quello che è stato il motivo principale che ha spinto Benedetto XVI a rinunciare. Ovvero riconoscere il limite della propria natura, vale a dire l’incapacità a poter andare avanti a sopportare il grande peso del governo della Chiesa. L’espressione “Papa emerito”, poi, non mi ha mai convinto perché teologicamente credo che ci siano dei limiti a dover accettare questa espressione che, se è pacifica per alcuni versi per un Vescovo ordinario nella Diocesi, non è così scontato per il Vescovo di Roma che ha una peculiarità e una giurisdizione su tutta la Chiesa diversa».

C’è un’espressione che ricorre più volte negli scritti di Benedetto XVI. «Ciò di cui il mondo ha bisogno». A cosa si riferiva?
«È un’espressione che Benedetto XVI ha utilizzato molte volte anche come teologo. Ha bisogno di Gesù Cristo; ha bisogno della fede che dà risposte alle domande di senso della vita; ha bisogno di grande responsabilità che si esprime nella vita sociale, nella vita politica; ha bisogno di recuperare i fondamenti etici come la legge naturale che è quella universale e capace di poter arrivare a tutti perché raggiunta attraverso la ragione, non attraverso la fede; e poi soprattutto ha bisogno di Santi».

 

Nel volume edito San Paolo che uscirà il 25 gennaio Ciò di cui il mondo ha bisogno ci presenta alcuni punti fermi di ciò che Benedetto XVI ha voluto lasciare in eredità. Il primo, la centralità di Gesù Cristo che non può mai essere oscurata dalle vicende storiche della Chiesa.
«La Chiesa corre il grande rischio con la vita di alcuni credenti di oscurare non solo la santità e quindi il volto di Cristo, ma anche la stessa santità della Chiesa e questo Benedetto XVI lo ha intravisto, lo ha denunciato soprattutto per quanto riguarda tutti quei casi che sono uno scandalo che grida ancora vendetta al cospetto di Dio  degli abusi».

 

Il secondo punto fermo è la grande sfida dell’evangelizzazione che i cristiani sono chiamati a realizzare con uno stile di vita coerente al Vangelo. Sempre di più…

«L’evangelizzazione rimane un punto fermo perché è la natura stessa della Chiesa. Se la Chiesa non evangelizza viene meno alla missione che il Signore le ha affidato e da questo punto di vista credo che ci sia una piena continuità tra il pontificato di Giovanni Paolo II che ha voluto e coniato l’espressione “Nuova Evangelizzazione”; Benedetto XVI ha dato vita al Pontifico Consiglio per la Nuova Evangelizzazione proprio contando su questa capacità di esprimere nella cultura un nuovo linguaggio di evangelizzazione; e papa Francesco ha fatto del Dicastero dell’Evangelizzazione il perno del suo Pontificato».

 

Terzo punto fermo per Benedetto XVI, il tentativo di trovare gli elementi positivi della modernità per far emergere ancora una volta la grande novità della fede cristiana.

«Questa è la grande sfida che Benedetto XVI ha lasciato. La modernità, soprattutto nella cultura dell’Occidente, ha cercato di esprimere la propria autonomia alla luce dell’antico assioma “Vivere nel mondo come se Dio non esistesse”. Ratzinger ha modificato questo; ha lanciato l’espressione contraria “Vivere nel mondo come se Dio esistesse”. Qui l’altra grande dimensione: la riscoperta del rapporto con la scienza. Ci sono pagine di grande attualità di Benedetto XVI sul rapporto tra tecnologia, scienza con la fede. E questo lo possiamo dire soprattutto in un momento in cui domina la cultura digitale».

 

Un uomo di fede e di ragione.

«Questo è stato il suo pensiero fondamentale. Lui ha concepito la fede come un essere presente e un comprendere. La fede aiuta a comprendere di più la vita delle persone; il rapporto con Dio; ma anche tutte le situazioni che sono presenti nel mondo. È questo orizzonte da allargare la ragione attraverso la fede perché la fede può contribuire ad andare in profondità nella scoperta della verità».

 

Benedetto XVI è stato il grande difensore dell’Europa, perché non dimenticasse le sue origini e la responsabilità a cui è chiamata.
«Radici da difendere, ma anche da promuovere. Non dimentichiamo che l’ultimo libro di Ratzinger come teologo è rivolto proprio all’Europa. Qualche settimana prima di essere eletto Papa, nella patria del monachesimo a Subiaco fece una conferenza determinante per la comprensione del futuro dell’Europa. Sempre in questo caso io credo che abbia voluto assumere il nome di Benedetto per ricordare la grande opera di evangelizzazione compiuta dal fondatore del monachesimo che mandò i suoi monaci in tutta l’Europa, in quella che oggi conosciamo come Europa; e dall’altra parte anche il grande tema dell’ora et labora benedettino che mi sembra sia diventato quanto mai presente e significativo negli ultimi dieci della sua vita».

 

Lei è nato 71 anni fa a Codogno. Come si pongono fede e ragione davanti a un evento come quello della pandemia che ha avuto origine proprio nel suo paese natale?

«Si reagisce davanti a questi fatti innanzitutto recuperando quello che tante volte oggi viene dimenticato, cioè il limite che portiamo con noi, la debolezza. Codogno ha mostrato all’Italia e al mondo che il Covid era qualcosa di inaspettato, qualcosa di imprevedibile e questo ha fatto riconoscere un sentimento che forse avevamo perso: quello della paura. Allora non si ricerca Dio per la paura e nei momenti di paura; ma certamente avere riconosciuto la propria debolezza ha aperto il cuore e la mente a riscoprire ancora di più la presenza di un Dio che è vicino».