I vangeli fanno riferimenti frequenti alla preghiera di Gesù. Alcuni esempi:

  • Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a  pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo (Mt 14,23).
  • Al mattino presto si alzò quando ancora era buio, e uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava (Mc 1,35).
  • Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare (Lc 5,15-16).

La preghiera è sempre presente. Non come un rito abitudinario, ma come una necessità vitale. Quasi a costituire l’altra faccia della sua attività pubblica, tanto che l’una non sarebbe esistita senza l’altra. I luoghi della religiosità giudaica, lo si è detto, erano il tempio, centro del culto, e la sinagoga. Gesù li frequentava entrambi, ma la sua preghiera personale si svolgeva altrove: un luogo isolato, un monte, un orto di ulivi… L’accento posto dai vangeli sulla preghiera in disparte, è un tratto che si accorda con la raccomandazione da lui fatta al discepolo:

«[…] quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto» (Mt 6,6).

La preghiera di Gesù era solitaria e la solitudine si associa a un episodio che si colloca all’inizio delle narrazioni sinottiche: i quaranta giorni trascorsi nel deserto. Il deserto è come il simbolo della preghiera di Gesù e costituisce uno dei luoghi biblici per eccellenza. Non è, però, come si potrebbe pensare, necessariamente il luogo della pace. La solitudine è anche il luogo della tentazione, della lotta interiore.

È nel deserto che Mosé si rifugia dopo aver ucciso una guarda egiziana, nel deserto Israele mormora contro Dio, nel deserto Elia fugge e cerca la morte per poi incontrare il Signore… «Il deserto è ambivalente: è il luogo dell’incontro con Dio, è il luogo terribile della prova, è il luogo privilegiato della ribellione. Può essere un’immagine che porta all’intimità, è il luogo dove si parla in segreto. Può essere l’evocazione del silenzio doloroso di Dio»[1].

Nella preghiera, Gesù cerca un incontro diretto, personale, con Dio, pur con tutti i rischi che può comportare. In questo incontro prendono forma le sue scelte e la sua pratica di umanità. Per Gesù è indispensabile stare con Dio e fare la sua volontà. Nei pochi esempi della sua preghiera che i vangeli riportano direttamente, quest’ultimo aspetto è senz’altro preminente (cfr. Mt 6,10; 26,42; Mc 14,36; Lc 22,42). Anzi, Gesù è arrivato a dare la precedenza al compimento della volontà di Dio rispetto alla professione di fede e alla pratica religiosa.

«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21).

Può essere benissimo che una persona faccia la volontà di Dio, la quale non è altro che amore, pur senza dirsi cristiana o addirittura senza esserlo. Con questo, Gesù non rende superflua la fede religiosa. Proprio la sua preghiera intensa e quotidiana ci ricorda che l’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (cfr. Mt 8,3; Sap 16,26; cfr. Mt 4,4). È necessario, allora – così come è necessario respirare, bere e nutrirsi –, porsi in ascolto della Parola di Dio per vivere.

Certo, questo non può limitarsi a un’esperienza religiosa puramente esteriore: se il comandamento nuovo di Gesù è amare come lui ha amato (cfr. Gv 15,12), come si può amare Dio che non vediamo, senza amare il fratello che vediamo (cfr. 1 Gv 4,19)? La capacità di amare è sicuramente accessibile a ogni persona, indipendentemente dal suo credo religioso, ma chiunque riconosce in Dio, come Gesù, l’origine della propria capacità di amare non può fare a meno di porsi in suo ascolto per esserne educato e crescere. Perché, come sottolinea la prima lettera di Giovanni, l’amore è da Dio:

chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio (4,7).

Gesù è agli antipodi dell’individuo autosufficiente, che fa di sé stesso la misura di tutte le cose e attribuisce un valore assoluto ai propri sentimenti ed emozioni. Sarebbe la più alta forma di narcisismo. Chi vive del pane della Parola di Dio riconosce in lui, non in se stesso, la misura più alta dell’umanità e dell’amore. Si pone perciò alla sua scuola, cogliendo in lui una più grande pienezza d’amore. Detto ancora con Giovanni, Dio è più grande del nostro cuore, tanto che possiamo avere fiducia in lui persino se il nostro stesso cuore ci condanna (cfr. 1 Gv 3,20-21).

Qui tocchiamo un punto nevralgico: la preghiera per Gesù è vitale, ma non come un fine. Non è l’acquisizione di una raffinata tecnica religiosa che diventi un motivo di vanto. Si prega per entrare in comunione con Dio, per ricevere il suo Spirito; in altre parole: per amare con il cuore di Dio, perché ogni pensiero e sentimento sia da Lui ispirato. Si spiegano così le parole di Serafim di Sarov: «Il vero scopo della nostra vita cristiana è l’acquisizione dello Spirito santo, mentre la preghiera, il digiuno, le veglie, la condivisione dei beni e le altre buone opere compiute per amore di Cristo sono solo dei mezzi per acquisire lo Spirito santo»[2].

La sua preghiera attesta che, per Gesù, Dio era al centro della vita, per usare il linguaggio del teologo Dietrich Bonhoeffer. Questi rilievi dovrebbero essere sufficienti per smentire le interpretazioni di Gesù in termini esclusivamente mondani, senza alcun rapporto con il divino e la trascendenza. politico, rivoluzionario, pensatore etico… Sono alcune delle identità attribuite al nazareno cercando di separarlo da Dio, ma non tengono conto che la sua preghiera è uno dei tratti storicamente certi, per nulla convenzionale o secondario.

Christian Albini

[1] Christian Duquoc, La preghiera di Gesù, in «Concilium» 9/1982, p. 32.

[2] Serafim di Sarov, Colloquio con Motovilov, in Pavel Evdokimov, Serafim di Sarov, uomo dello Spirito, Qiqajon, Bose 1996, p. 69.