Il Pontefice rilancia l’appello delle religioni ai governanti perché si fermino le guerre. «Basta!» è il grido dei poveri e della terra. Il mondo deve cambiare rotta e nessun conflitto può essere chiamato santo, perché santa è solo la pace
Un messaggio di riconciliazione dopo che ciascuno ha pregato in luoghi distinti secondo le diverse tradizioni religiose. Papa Leone conclude l’incontro internazionale per la pace promosso dalla comunità di Sant’Egidio che, dal primo incontro ad Assisi voluto nel 1986 da Giovanni Paolo II, continua ad alimentare il dialogo e a usare le «parole perché siamo figli della Parola e non ci arrendiamo alla guerra», ha spiegato il presidente Marco Impagliazzo.
Leone, all’arco di Costantino, ricorda che «i conflitti sono presenti ovunque ci sia vita, ma non è la guerra che aiuta ad affrontarli, né a risolverli. La pace è un cammino permanente di riconciliazione». Ringrazia i leader religiosi che sono venuti a «pregare per la pace, mostrando al mondo quanto la preghiera sia decisiva. Il cuore umano deve infatti disporsi alla pace e nella meditazione si apre, nella preghiera esce da sé. Rientrare in sé stessi per uscire da sé stessi. Questo testimoniamo, offrendo all’umanità contemporanea gli immensi tesori di antiche spiritualità».
Il Pontefice ricorda che il mondo «ha sete di pace: ha bisogno di una vera e solida epoca di riconciliazione, che ponga fine alla prevaricazione, all’esibizione della forza e all’indifferenza per il diritto. Basta guerre, con i loro dolorosi cumuli di morti, distruzioni, esuli! Noi oggi, insieme, manifestiamo non solo la nostra ferma volontà di pace, ma anche la consapevolezza che la preghiera è una grande forza di riconciliazione. Chi non prega abusa della religione, persino per uccidere».
Chiede che «i luoghi di preghiera siano tende dell’incontro, santuari di riconciliazione, oasi di pace». E rivà all’incontro del 27 ottobre 1986 quando Giovanni Paolo II « invitò i leader religiosi del mondo ad Assisi a pregare per la pace: mai più l’uno contro l’altro, ma l’uno accanto all’altro. Fu un momento storico, una svolta nei rapporti tra le religioni. Nello “spirito di Assisi”, anno dopo anno, sono continuati questi incontri di preghiera e dialogo, che hanno creato un clima di amicizia tra i leader religiosi e hanno accolto tante domande di pace».
E anche se il mondo sembra essere andato in direzione opposta, non ci si rassegna alle guerre e alle violenze. Anzi, bisogna ricominciare «da Assisi, da quella coscienza del nostro compito comune, da quella responsabilità di pace».
Un discorso quello di Leone, interrotto più volte dagli applausi. Quando ricorda i 60 anni della Nostra Aetate che ribadisce l’impegno per il dialogo e la fraternità. Le religioni sono sorelle e «devono favorire che i popoli si trattino da fratelli, non da nemici. Perché “i vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine”».
Basta guerre, ripete il Papa. «Dobbiamo allontanare dalle religioni la tentazione di diventare strumento per alimentare nazionalismi, etnicismi, populismi. Le guerre si inaspriscono. Guai a chi cerca di trascinare Dio nel prendere parte alle guerre!», dice citando Francesco. E, mentre fa sue le parole del suo predecessore ripete «con forza: mai la guerra è santa, solo la pace è santa, perché voluta da Dio!».
Appalusi ancora quando auspica che «tramonti presto questa stagione della storia segnata dalla guerra e dalla prepotenza della forza e inizi una storia nuova. Non possiamo accettare che questa stagione perduri oltre, che plasmi la mentalità dei popoli, che ci si abitui alla guerra come compagna normale della storia umana». Ripete più volte la parola «Basta!». Questo è «l grido dei poveri e il grido della terra. Basta! Signore, ascolta il nostro grido!». E riprende le parole che Giorgio La Pira, «testimone di pace, mentre lavorava politicamente in tempi difficili, scriveva a San Paolo VI: ci vuole “una storia diversa del mondo: ‘la storia dell’età negoziale’, la storia di un mondo nuovo senza guerra”. Sono parole che oggi più che mai possono essere un programma per l’umanità».
Insiste sulla «cultura della riconciliazione» che «vincerà l’attuale globalizzazione dell’impotenza, che sembra dirci che un’altra storia è impossibile. Sì, il dialogo, il negoziato, la cooperazione possono affrontare e risolvere le tensioni che si aprono nelle situazioni conflittuali. Devono farlo! Esistono le sedi e le persone per farlo». E, infine, ribadisce che «mettere fine alla guerra è dovere improrogabile di tutti i responsabili politici di fronte a Dio. La pace è la priorità di ogni politica. Dio chiederà conto a chi non ha cercato la pace o ha fomentato le tensioni e i conflitti, di tutti i giorni, i mesi, gli anni di guerra».
E l’appello che rilancia, facendosi voce di chi non ha voce, e rivolto ai governanti è quello di «osare la pace». E «se il mondo fosse sordo a questo appello, siamo certi che Dio ascolterà la nostra preghiera e il lamento di tanti sofferenti. Perché Dio vuole un mondo senza guerra. Egli ci libererà da questo male!».
