
In queste pagine seguiremo il cammino di vita di fratel Charles, dalla sua nascita a Strasburgo, 10 il 15 settembre 1858, fino alla sua morte a Tamanrasset il 1º dicembre 1916. Scoprendo una vita fuori dal comune, un’esistenza che pare seguire un percorso tortuoso ma delicatamente guidata da una mano invisibile e ferma, quella dello Spirito di Dio, cercheremo di capire meglio quale sia il dono che Dio ci ha fatto con la sua canonizzazione. Per cogliere questo dono non potremo fermarci a un’analisi storica della vita di Charles. Alla sua scuola dovremo guardare a Cristo e camminare con lui verso il suo mistero pasquale: «Guardiamo i santi, ma non attardiamoci nella loro contemplazione, contempliamo con essi Colui la cui contemplazio¬ne ha riempito la loro vita. Approfittiamo dei loro esempi, ma senza fermarci a lungo né prendere per modello completo questo o quel santo, e prendendo di ciascuno ciò che ci sembra più conforme alle parole e agli esempi di Nostro Signore Gesù, nostro solo e vero modello, servendoci così delle loro lezioni, non per imitare essi, ma per meglio imitare Gesù» (Charles de Foucauld, Opere spirituali).
In questa prospettiva, trovo che la canonizzazione di Charles de Foucauld costituisca una bella opportunità di incoraggiare i cattolici a convertirsi alla vocazione della Chiesa alla cattolicità: come a Nazaret, una cattolicità dell’ultimo posto, fatta di servizio, di presenza, di accoglienza dei più piccoli; come a Betania, una cattolicità della fraternità, attraverso il dialogo e la cooperazione con tutti gli uomini di buona volontà, e attraverso la dinamica dell’amicizia; e, come al Getsemani, una cattolicità dell’abbandono, imparando a collaborare con lo Spirito Santo, rendendo testimonianza al Figlio e abbandonandosi nelle mani del Padre. Come dice Lumen gentium: «Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. […] In tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste. […] Siccome dunque il regno di Cristo non è di questo mondo (cfr. Gv 18,36), la Chiesa, cioè il popolo di Dio, introducendo questo regno nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva. Essa si ricorda infatti di dover far opera di raccolta con quel Re, al quale sono state date in eredità le genti (cfr. Sal 2,8), e nella cui città queste portano i loro doni e offerte (cfr. Sal 71 [72],10; Is 60,4-7). Questo carattere di universalità che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell’unità dello Spirito di lui».