La Bibbia resta il grande punto di riferimento della cultura dell’occidente e per Turoldo ha significato la patria fondamentale, non soltanto della sua poesia ma della sua stessa esperienza.
Come nel racconto di un “Pellegrino russo” padre David considerava, suoi beni terrestri una bisaccia sul dorso con un po’ di pane secco e nella tasca interna del camiciotto la sacra Bibbia, null’altro”;
è l’idea di essere un uomo in viaggio che porta come unico tesoro, quasi in uno scrigno, “la sacra Bibbia”.
Padre Turoldo ha continuamente considerato la Bibbia “come l’alfabeto colorato della speranza”.
L’alfabeto colorato cointinto al suo pennello di poeta. Egli aveva conosciuto e amato molto un poeta, Clemente Rebora. Ricordo che padre Davide, tante volte aveva citato quel verso indimenticabile di Rebora: “la Parola zittì le chiacchiere mie “.
La poesia di padre Davide è una poesia continuamente intarsiata di citazioni bibliche.
Non si può parlare di padre Turoldo credente e di padre Turoldo poeta, le due cose sono profondamente embricate, profondamente intrecciate tra di loro.
Ripetutamente si autodefiniva servo della Parola: “Servo e ministro sono della parola, cantore delle dense ore di Dio”.
“Sono un pugno di terra viva, ogni (Sua) parola mi traversa come una spada”.
All’interno dell’unico suo romanzo: “ La morte dell’ultimo teologo” padre David scrisse quella frase che forse esprimeva un po’ la sua esperienza più intima, più profonda: “Nessuno sa parlare come un monaco, un uomo che tace per mille anni poi dice una parola sola: Dio”. .
