La questione del titolo “Corredentrice”, sollevata e chiarita dalla Nota dottrinale Mater Populi fidelis, non è una semplice disputa terminologica. È il sintomo di un fallimento analogico. Il linguaggio umano, quando tenta di parlare di Dio e della sua opera, è costretto a ricorrere all’analogia. Ma l’analogia autentica, soprattutto in teologia, non è una comoda somiglianza; è un cammino sul crinale di un abisso, dove la dissimilitudine è sempre più grande della similitudine.

L’istinto che porta a forgiare il termine “Corredentrice” è lo stesso che, applicato in modo ingenuo, costruisce un’analogia per similitudine: Maria assomiglia a Cristo nel lavoro della salvezza, quindi possiamo chiamarla «con-redentrice». È un’analogia che cerca di addomesticare il mistero, di renderlo comprensibile e controllabile attraverso un parallelismo. Ma è proprio qui che l’analogia tradizionale, se non viene “ribaltata”, tradisce sé stessa e genera mostri teologici.

L’analogia per similitudine porta istintivamente (cioè senza un controllo critico) alla nascita del “parallelismo salvifico”. Il documento, con precisione chirurgica, smonta il titolo non perché Maria non cooperi, ma perché il termine costruisce un’immagine fuorviante. L’analogia per similitudine opera così: a. isola un punto di contatto (sia Cristo che Maria hanno sofferto per la nostra salvezza. Entrambi sono stati associati all’evento redentivo); b. estende la similitudine (se Cristo è Redentore, e Maria è simile a Lui in quest’opera, allora può essere chiamata “Corredentrice”); c. minimizza la dissimilitudine (in questo processo, la differenza abissale — Cristo agisce come Dio e Uomo, fonte prima e autonoma della grazia; Maria agisce come creatura, redenta e trasformata, canale derivato e subordinato — viene appiattita. La dissimilitudine diventa un’appendice, una nota a piè di pagina).

È così che si costituisce, quasi istintivamente, un «percorso parallelo della salvezza». Il documento mette in guardia proprio da questo: «Il pericolo di oscurare il ruolo esclusivo di Gesù Cristo […] non costituirebbe un vero onore alla Madre» (n. 22). L’analogia per similitudine, fallendo nel suo compito primario di custodire il mistero, finisce per creare una diarchia in cui Maria non è più solo la prima dei redenti, ma quasi una fonte complementare di redenzione.

La “Corredentrice” diventa il capolinea di un’analogia mal applicata.

L’Analogia Ribaltata non nega la similitudine, ma la sottopone a una conversione radicale. Non parte dalla somiglianza per poi aggiungere le differenze, ma parte dalla dissimilitudine costitutiva per leggere, alla sua luce, l’unica similitudine possibile . È un cambio di prospettiva epocale.

Applicata al ruolo di Maria nella salvezza, l’Analogia Ribaltata ci chiede: a. qual è la dissimilitudine assoluta e irrevocabile? L’unicità di Cristo come Redentore. Egli solo è «l’unico Mediatore fra Dio e gli uomini» (1 Tim 2, 5). La sua mediazione è causale, fontale, ipostatica (nel senso dell’unione ipostatica). Questa non è una differenza di grado, ma di natura. È il dato primario, non negoziabile; b. alla luce di questa dissimilitudine, che tipo di similitudine è possibile? La similitudine non può che essere partecipata, derivata, subordinata e, soprattutto, recettiva. Maria non “fa” qualcosa di simile a ciò che fa Cristo da una posizione di parità o complementarità. Ella riceve in modo unico e perfetto l’opera di Cristo e, in virtù di questa pienezza ricevuta, può essere associata alla sua diffusione.

Il documento è un maestro in questa applicazione. Non dice: «Maria è simile a Cristo nel redimere, ma in modo subordinato». Dice, piuttosto: «L’unica mediazione del Redentore non esclude, bensì suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un’unica fonte» (n. 28). La similitudine (cooperazione) è conseguenza ed effetto della dissimilitudine (unica mediazione). È un’azione che Cristo, nella sua gloria, “suscita”. La similitudine di Maria non sta nel “redimere con” Lui, ma nell’essere la creatura plasmata dalla Redenzione in modo così totale da diventare il segno più trasparente della sua efficacia.

Attraverso questa lente, molti passaggi del documento rivelano una profondità nuova:

La Maternità spirituale come similitudine “ribaltata”: il titolo “Madre” non è un’analogia debole, ma l’unica similitudine possibile dopo aver affermato la dissimilitudine. Cristo è il Figlio Unigenito. Maria è madre per adozione graziosa (“figlia del tuo Figlio”, come ricorda Dante). La sua maternità verso i credenti non è un parallelismo con la generazione eterna del Verbo, ma il frutto ultimo di quella generazione nel tempo. È una similitudine che esiste solo dentro e  a causa della dissimilitudine trinitaria.

L’intercessione non è mediazione parallela: il documento distingue con cura l’intercessione materna di Maria dalla mediazione unica di Cristo. L’Analogia Ribaltata ci aiuta a vederlo: l’intercessione dei santi (e in modo eminente di Maria) è una similitudine possibile solo perché esiste una dissimilitudine radicale. Cristo intercede come Sommo Sacerdote dal di dentro della Trinità, in virtù del suo sacrificio. Maria intercede come creatura redenta, la cui preghiera è efficace non per un potere proprio, ma perché «Cristo stesso dispiega la sua gloria nella nostra piccolezza» (n. 90). La similitudine (pregare per gli altri) è resa possibile e potente solo dalla dissimilitudine (Lui è il Sacerdote, noi siamo il tempio).

La “Mediazione Partecipata” è un ossimoro che conferma la regola: l’espressione stessa “mediazione partecipata”, usata dal documento (n. 28), è un ossimoro che custodisce il mistero. Se la mediazione è per definizione unica di Cristo, parlare di “mediazione partecipata” è un modo per dire: «Esiste una similitudine così profonda nell’essere canale di grazia che possiamo usare la stessa parola, ma solo se ricordiamo che qui la dissimilitudine è talmente enorme da stravolgere il significato del termine». È l’apice dell’Analogia Ribaltata: la parola “mediazione” viene usata, ma il suo significato è capovolto e purificato dalla dissimilitudine che lo precede e lo fonda.

Da qui scaturiscono conseguenze necessarie per una devozione purificata. Abbandonare “Corredentrice” non è una perdita, ma un guadagno di profondità. Alla luce dell’Analogia Ribaltata, Maria cessa di essere un “quasi-Cristo” in un pericoloso parallelismo salvifico. Diventa invece l’Icona della dissimilitudine creaturale di fronte a Dio.

La sua grandezza non sta nel “fare” qualcosa di simile a Dio, ma nel suo essere la creatura che, più di ogni altra, ha acconsentito a essere fatta, a essere redenta, a essere riempita. Il suo “Fiat” non è un contratto di collaborazione tra pari, ma il sì totale della creatura che si fa terra buona perché il Seminatore divino compia la sua opera unica. Il suo stare sotto la Croce non è un “co-immolarsi”, ma l’atto di fede più profondo di una madre che, trafitta, accoglie il mistero insondabile della Redenzione operata solo dal Figlio.

La vera devozione mariana, quindi, non è quella che moltiplica i titoli per avvicinarla a Cristo, ma quella che, contemplando la sua incomparabile bellezza, è rimandata con forza ancora maggiore all’unicità assoluta del Salvatore. Come ricorda il documento, Maria è l’Odēgētria, colei che indica la Via. E la Via è una sola: Gesù Cristo.

Mater Populi fidelis, letto con la chiave dell’Analogia Ribaltata, non è un documento restrittivo, ma liberante. Ci libera da un linguaggio imprigionato in somiglianze pericolose e ci invita a un salto qualitativo: dalla ricerca di parallelismi alla contemplazione silenziosa di un mistero asimmetrico. Dio non è un essere più grande in una linea di continuità con noi. È l’Altro assoluto, la Sorgente di ogni essere, il cui agire ci raggiunge non per somiglianza, ma per dono gratuito. Maria, la “piena di grazia”, è il capolavoro di questo dono. Onorarla non significa innalzarla a un trono accanto a quello di Cristo con titoli ambigui, ma riconoscere in lei la perfetta realizzazione della vocazione di ogni creatura: essere un vaso, trasparente e colmo, dell’unica, insondabile, dissimile Misericordia di Dio.

La prossima volta che saremo tentati di cercare in Maria un riflesso di Cristo basato sulla somiglianza, ricordiamo l’Analogia Ribaltata. E, invece di forzare il linguaggio, fermiamoci in silenzio davanti a questa Donna, la cui grandezza sta proprio nel non essere il Redentore, ma la sua Discepola più perfetta, il suo capolavoro, e la Madre che, mostrandoci la sua piccolezza glorificata, ci indica l’infinito abisso d’Amore che è il suo Figlio.

*Staglianò Vescovo presidente della Pontificia Accademia di Teologia