
Ci sono storie, volti, percorsi di vita segnati dal sangue ma che non si concludono con la morte violenta e ingiusta. Testimoni di una resistenza inerme e mite che sopravvive e si moltiplica anche se agli occhi del mondo i martiri sono “sconfitti”, il Libro della Sapienza li definisce nella verità: perché “la loro speranza resta piena d’immortalità”. Papa Leone offre una riflessione profonda e sentita nella Commemorazione dei nuovi martiri e testimoni della fede del XXI secolo insieme ai rappresentanti delle altre Chiese e comunioni cristiane, nella Basilica di San Paolo fuori le mura, alla presenza di circa 4mila fedeli.
Il loro martirio continua a diffondere il Vangelo in un mondo segnato dall’odio, dalla violenza e dalla guerra; è una speranza piena d’immortalità, perché, pur essendo stati uccisi nel corpo, nessuno potrà spegnere la loro voce o cancellare l’amore che hanno donato; è una speranza piena d’immortalità, perché la loro testimonianza rimane come profezia della vittoria del bene sul male. Sì, la loro è una speranza disarmata. Hanno testimoniato la fede senza mai usare le armi della forza e della violenza, ma abbracciando la debole e mite forza del Vangelo.
L’amore più forte della morte
La celebrazione è preceduta dalla processione verso l’altare della Basilica, guidata dal Papa insieme ai Capi e delegati delle Chiese e delle Comunità cristiane di Oriente e Occidente. Leone XIV segue la Croce, nel giorno della festa dell’Esaltazione della Croce e nel ricordo del suo ritrovamento a Gerusalemme a opera di Sant’Elena. Nel pensare a quanti negli ultimi 25 anni hanno perso la vita per la fedeltà a Cristo, il Papa cita san Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso nel 1980 mentre celebrava la Messa. Ne ricorda la fiducia in un Dio “che sente il dolore di chi è torturato e ucciso. Un Dio vivo, che agisce, lavora, conduce questa storia” e in cui si confida e si spera. Dopo la proclamazione del Vangelo delle Beatitudini, il Pontefice nell’omelia rivolge a tutti “un abbraccio di pace” e sottolinea che “questi audaci servitori del Vangelo e martiri della fede hanno dimostrato in modo evidente che ‘l’amore è più forte della morte’”, come aveva già indicato nel Giubileo del 2000 san Giovanni Paolo II.