
Presentata a Roma una collaborazione tra le due congregazioni: obiettivo valorizzare i rispettivi carismi nell’ottica di portate a tutti la Buona Novella. Mettendosi, concretamente, a servizio del prossimo
Un’alleanza editoriale nel segno della fede e della solidarietà. Tra gli agostiniani e i paolini scatta una collaborazione «nel comune impegno dell’evangelizzazione», sottolineano entrambe le congregazioni. «Questa nuova alleanza, utile per tutti, ha un significato profondo», ha sottolineato il priore generale e presidente della Fondazione agostiniani nel mondo padre Alejandro Moral Antón, nel corso della conferenza stampa di presentazione del progetto. Che parte, innanzitutto dal racconto delle opere missionarie che gli agostiniani hanno nel mondo. «Il mio sentimento sta sempre accanto ai poveri», ribadisce padre Moral. Che racconta di come era stato incaricato da papa Francesco di intesser eun dialogo sia con Tel Aviv che con la Cina e il mondo tibetano. «Il mondo non è sempre quello che noi vogliamo, ma la Dottrina ci deve motivare e ci deve far muovere con le varie realtà del mondo per cercare di cambiarle».
Perché, spiega il giornalista e saggista Marco Damilano, citando sant’Agostino, «Sono tempi cattivi, dicono gli uomini, ma vivano bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». Partendo dal discorso 311 Damilano si interroga su «quali sono i tempi, anche rispetto a questi primi quattro mesi di Pontificato di papa Leone. I tempi di Agostino erano tempi di passaggio, di transizione, ma erano anche tempi che i contemporanei avvertivano come tremendi. Un’era cristiana che era cominciata, che doveva poteva sembrare un’era luminosa di prosperità, di pace, era, invece, un’era di guerra, un’era di distruzione, la caduta di Roma. E Agostino dice che in questa storia, in questi tempi, la condizione del cristiano è quella del peregrinare, che poi è anche la condizione del pellegrino, è la condizione dello straniero, è la condizione del missionario. Dobbiamo conoscere la nostra cattività e la nostra liberazione. Dobbiamo conoscere Babilonia e Gerusalemme. Babilonia, dice Agostino, significa confusione, Gerusalemme significa visione di pace e, aggiunge, non sono realtà separate, sono mischiate dall’inizio alla fine del mondo».
E per essere uomini migliori, che possano vivere bene perché anche i tempi possano essere buoni, c’è bisogno di camminare insieme, di essere alla sequela di Cristo, Via, Verità e Vita. Di alleanze nel segno della solidarietà, della valorizzazione dei reciproci carismi, della pace. «Collaborare è possibile quando si vive la stessa fede, si condivide la stessa realtà», ha affermato, dal canto suo don Roberto Ponti, superiore provinciale dei paolini. Ripercorrendo le tappe del dialogo tra i due ordini religiosi, ha ricordato l’intesa con padre Franz Klein, economo generale degli agostiniani e un tempo missionario in Congo, «laddove anche io ho speso dieci anni dell amia vita come missionario». A Kinshasa, ha sottolineato, «ho collaborato con gli agostiniani, dove ho visto nascere una scuola voluta dalla Fondazione Agostiniani nel mondo».
«Mi chiedo perché non abbiamo cominciato la collaborazione prima visti i tanti punti di contatto», si interroga Maurizio Misitano, direttore esecutivo della Fondazione agostiniani nel mondo ricordando che oggi quella scuola ha 2.500 alunni. Misitano sottolinea l’importanza di parlare del lavoro dei missionari, di quello che la Chiesa fa nei Paesi emergenti. La comunicazione diventa «strumento di prossimità e di testimonianza. I missionari», continua, «ogni giorno vivono realtà terrificanti, difficilissime, al fianco dei più poveri. E in molti contesti sono l’unica istituzione che può dare voce, risposta sociale, determinazione e professionalità». Ricordando il lavoro in Congo con il recupero dei bambini soldato, ma anche l’impegno in altri settori chiede di non dimenticare l’attenzione ai bisogni di più fragili. «Quando una madre arriva con un bambino in braccio che ha la pancia gonfia per i vermi e ha bisogno di una pastiglietta che salva la vita noi sappiamo che dietro c’è tutto un lavoro di rendicontazione, budget, progetti. Ma non dobbiamo mai perdere di vita l’importanza di quella pastiglietta altrimenti diventiamo un progettificio».
E per non perdere di vista il concreto servono relazioni vere. «Da amicizia e fraternità nascono cose belle, nella Chiesa e non solo», ha concluso don Stefano Stimamiglio, direttore di Famiglia cristiana e autore del volume “Ripartiamo da Cristo. Papa Leone: il bilancio di un nuovo inizio”. Parlando del nuovo Papa cui sarà fatto dono non solo della prima copia dle volume, ma anche delle migliaia di auguri che i lettori del giornale hanno inviato per il suo prossimo compleanno del 14 settembre insieme con il sostegno per il dispensario pediatrico di Santa Marta, don Stefano ha sottolineato che Leone XIV, come il papa Francesco, indica il cuore come fulcro del magistero: «È nel cuore dell’uomo che batte la pace. Se il cuore non è pacificato, non può esistere la pace né nella persona, né nelle relazioni». Inoltre è un Pontefie nel senso di colui che crea ponti tra realtà apparentemente diverse: «Ha messo fisicamente i piedi nel fango da missionario, ma è stato priore generale, vescovo, prefetto. È americano, ma ha scelto la cittadinanza peruviana: una doppia identità che unisce mondi diversi». E non ha senso contrapporlo superficialmente al predecessore: Ogni Papa raccoglie un testimone e lo trasforma secondo la propria esperienza. Noi, come paolini, abbiamo il voto di obbedienza al Papa. La nostra alleanza, allora ha anche un valore più profondo. Vuol essere un segno concreto di vicinanza e fedeltà al magistero del Papa».