
Annalena Tonelli aveva detto parlando sé: «Luigi Pintor, un cosiddetto ateo, scrisse un giorno che non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi. Così è per me. È nell’inginocchiarmi perché stringendomi il collo loro possano rialzarsi e riprendere il cammino o addirittura camminare dove mai avevano camminato che io trovo pace, carica fortissima, certezza che tutto è grazia». Gesù si è abbassato perché possiamo alzarci stringendoci a Lui e sollevarci fino in cielo, come nell’immagine della dormizione di Maria. Papa Leone rivolgendosi al popolo di giovani radunati a Tor Vergata per il loro Giubileo con tanta paternità e fiducia in loro ha detto: «Aspirate a cose grandi, alla santità ovunque siate. Non accontentatevi di meno». Non vivacchiare e non avere paura di scegliere. Erano giunti a Roma da tanti Paesi del mondo, compresi quelli in guerra. In una generazione che ha perso le spinte unitive e la convinzione di amare e difendere la casa comune, i giovani hanno vissuto una esperienza della Chiesa veramente cattolica, famiglia universale che fa sentire a casa ovunque e chiunque.
Abbiamo vissuto concretamente tanta comunione. «L’amicizia può veramente cambiare il mondo. L’amicizia è una strada per la pace», ha detto Papa Leone, «perché è proprio vero che ama veramente il suo amico colui che nel suo amico ama Dio». «Vogliatevi bene tra di voi!». Viviamo una stagione fosca, attraversata piuttosto da tanta incertezza e crediamo poco possibile “volersi bene” e amare la vita dal suo inizio alla sua fine. La speranza, però, attraversa i problemi, non li evita o non finisce quando sperimenta il veleno della delusione! La spianata di Tor Vergata che ha raccolto, a perdita d’occhio, quei giovani del mondo, è stata come un abbraccio che smentisce l’insuperabilità dei conflitti: migliaia di migliaia, gli uni accanto agli altri, non gli uni contro gli altri o senza gli altri. Quel popolo di giovani ha mostrato con chiarezza la forza dell’incontro, la potenza dell’abbraccio, la bellezza del noi, l’importanza dell’ascolto, la gioia della festa: tutto era teso ad unire mentre il mondo continua a dividersi.
È una realtà non perfetta. Liberiamoci di un modo ipercritico, di letture negative che non sanno più vedere il bello e la presenza di Dio nella creta della nostra contraddittoria umanità. Gli inizi sono sempre umili. È un grande segno che le Chiese e le comunità civili devono saper decifrare. Non perdiamo l’opportunità. Gesù quando mancano quattro mesi alla mietitura, ci chiede di «alzare gli occhi e guardare i campi che già biondeggiano» (Gv 4,35). La speranza vede il futuro oggi. Eccole le spighe mature! Le abbiamo viste coi nostri occhi, sono cresciute anche sui sanpietrini, coprendo tutto lo spazio disponibile! Questo popolo di giovani ci sollecita a una nuova audacia e a una nuova creatività. Forse anche a una nuova allegria, non perché non soffriamo ma perché la gioia è forza e sappiamo che non ci mancherà un vestito bellissimo che neanche Salomone aveva.
Non vogliamo minimizzare le sfide che abbiamo di fronte, la congiuntura drammatica dei popoli, ma cerchiamo di avere la gioia della speranza, nutrita dalla fede che accende il sorriso della comunità di inespugnabile determinazione. I campi già biondeggiano. Sì, un cristianesimo più lieto che sa commuoversi davvero, e profondamente, sulle numerose folle – nel nostro come in molti altri Paesi, e persino quelle che sono senza Paese – che sono quelle evangeliche «stanche e sfinite come pecore senza pastore». Lupi rapaci e mercenari interessati continuano purtroppo a venire al mondo. Il contagio della guerra (59 sono quelle in atto), la logica del più forte che genera la supremazia, il nichilismo che non sa proteggere e curare la vita che è sempre fragile, il riarmo, la paura, godono di una congiuntura favorevole. Per un attimo ci erano sembrati relitti del passato, disinnescati dal progresso civile del diritto, dell’economia, della tecnica. Invece, ecco arrivare un diritto, una economia e una tecnica, che premiano i nuovi barbari. Quanto è lontano questo mondo da quel popolo giovanile che esorta invece a recuperare il “primato dell’incontro”, del dialogo, dell’amore, della testimonianza! La guerra – la persecuzione, la sopraffazione, l’eliminazione, devono diventare motivo globale di vergogna e cessare di raccontarsi come potenza degna di ammirazione.
Come non vedere in quel popolo giovanile la Chiesa che papa Francesco auspicava, ossia una Chiesa che «cammina insieme» agli uomini, partecipando ai travagli della storia e coltivando il sogno di una società fraterna e universale? La forza umile del Vangelo cambia il mondo e insegna a volersi bene. Quel popolo di giovani – ma vorrei dire anche la meraviglia della società intera stupita dalla bellezza e dalla forza di questo popolo giovanile radunato assieme – ci sollecita ad abbandonare l’idea depressiva del nostro confinamento in una minoranza insignificante – in certo modo, il cristianesimo è stato sempre minoranza. Il Concilio invitava a guardare la Chiesa anzitutto come «mistero» di unità e di “comunione” tra gli uomini. Questo è il suo lievito.
Le nostre Chiese in Italia – sono stato edificato nel vedere i numerosi giovani italiani dare la loro bella testimonianza a quelli degli altri Paesi – sono affettuosamente incalzate dal cammino sinodale a liberarsi da ogni sterile autoreferenzialità, per riscoprire la vera destinazione della fede ecclesiale, che è la liberazione dell’amore di Dio nell’altro e per l’altro. Poniamo i giorni e i mesi che verranno sotto lo sguardo di Maria Assunta nel cielo per vivere anche noi la sintonia dell’invito che ha inaugurato il ministero petrino di papa Leone: «Costruiamo una Chiesa fondata sull’amore di Dio segno di unità, una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia e che diventa lievito di concordia per l’umanità».